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IL DIRITTO ALL’OBLIO

Il termine oblio deriva dal latino oblivium e indica un fenomeno in base al quale la traccia dei ricordi si frammenta, fino alla loro completa perdita.
Il diritto all’oblio è quindi il diritto che ognuno di noi ha ad essere dimenticato relativamente alla sua presenza online (in parte di essa o completamente).
Di seguito ti spieghiamo con esattezza in cosa consiste il diritto all’oblio, chi e come ne può usufruire e come ti devi comportare per rispettare il diritto degli altri nelle tue attività online.

IL DIRITTO ALL’OBLIO: COSA SIGNIFICA E COME NASCE

Parlando in ambito giuridico, il diritto all’oblio rappresenta il diritto ad essere dimenticati, ovvero a non essere più ricordati dall’opinione pubblica per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca.

Esso rappresenta espressamente quello che è un diritto alla riservatezza, privacy, inteso come il diritto di ottenere la cancellazione dei propri dati personali che sono stati resi pubblici.

In una accezione più ampia è una modalità attraverso la quale si esprime il nostro diritto all’identità personale; si oblia, o si chiede di obliare, ciò che riteniamo parte della nostra identità personale che non debba essere più a conoscenza di altri.

Il diritto all’oblio riguarda, quindi, il complesso tema del trattamento dei dati personali. Infatti, in presenza di determinate condizioni, il soggetto può ottenerne la cancellazione da parte del titolare del trattamento.

Il diritto all’oblio viene contemplato dall’art. 17 del Regolamento e si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata.

Si prevede, infatti, l’obbligo per i titolari, che hanno reso pubblici i dati personali dell’interessato, ad esempio pubblicandoli sul proprio sito web, di informare in ogni caso del diritto di richiesta di cancellazione.

Detto articolo 17 del Regolamento ha un campo di applicazione più esteso di quello di cui all’art. 7, comma 3, lettera b), del nostro Codice; questo perché l’interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati, per esempio, anche dopo la revoca del consenso al trattamento.

Tuttavia, sempre l’art. 17 determina che il diritto alla cancellazione non sussiste qualora il trattamento dei dati sia necessario per soddisfare alcune esigenze, quali ad esempio per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.

Il diritto all’oblio può essere praticato attraverso la richiesta di rimozione delle informazioni personali che riguardano l’interessato.

In un certo senso è quasi equiparabile al diritto alla cancellazione, anche se questi sono diritti diversi tra loro; infatti, la pretesa di cancellazione delle nostre informazioni personali è una conseguenza dell’esercizio del diritto all’oblio e si può pretendere la cancellazione di dati personali anche per presupposti diversi.

IL DIRITTO ALL’OBLIO NELL’ERA DIGITALE

Con la nascita e lo sviluppo di Internet ci si è posto il problema del diritto all’oblio, e quindi come tutelare l’interesse dell’individuo affinché non vengano compromessi i suoi interessi e, altre parole, il suo diritto ad essere dimenticato, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca.

Il diritto all’oblio è uno dei molteplici aspetti sotto i quali si manifesta il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali.

Applicato all’attuale contesto dell’era digitale, detto diritto consiste nella rimozione dei documenti e dei link che rimandano a un contenuto online che un soggetto ritiene dannoso o che ad ogni modo ritiene opportuno cancellare in maniera definitiva.

Anche la Corte di Cassazione ha specificato cos’è il diritto all’oblio, configurandolo come il diritto “a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”.

La prospettiva oggi è ovviamente totalmente diversa.

Nel mondo digitale, che è principalmente caratterizzato dallo sharing continuo di contenuti, non si tratta solo di impedire che restino disponibili le nostre informazioni personali pubblicate dalla fonte originaria ma, piuttosto, far eliminare anche le successive ripubblicazioni delle stesse da parte di terzi soggetti.

Di conseguenza, il vero problema non è tanto la difficoltà a cancellare una notizia o una foto o un video pubblicati dalla fonte originaria ma le ripubblicazioni.

Per tal ragione, l’attenzione ad oggi, per tutelare il diritto all’oblio, deve essere incentrata su quanto può restare pubblicamente disponibile una informazione online; e qui ci si collega a tutti i principi elencati dal GDPR che guidano il titolare del trattamento, o chi per lui, sulla modalità del trattamento dei dati personali.

Ed ecco perché è stata prevista una protezione più stringente dal Regolamento UE n. 2016/679 in tema della protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.

Con il già citato articolo 17 GDPR si prevede, a certe condizioni, il diritto a chiedere la rimozione dei dati personali dalla pubblicazione di una notizia sul web. In particolare, il comma 1 dell’art. 17 GDPR prevede il diritto alla cancellazione dei dati personali, indipendentemente dal fatto che essi siano stati resi pubblici o meno, se sussiste determinati motivi quali ad esempio: quando i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; l’interessato revoca il consenso; l’interessato si oppone al trattamento; i dati personali sono stati trattati illecitamente; i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento.

In questi casi, l’interessato può chiedere al titolare del trattamento di cancellare i propri dati personali e, questo, indipendentemente dal fatto che i dati siano trattati “pubblicamente”.

IL DIRITTO ALL’OBLIO: COME PROCEDERE

Sul piano operativo, il soggetto interessato che intenda esercitare il diritto all’oblio, può chiedere al gestore del motore di ricerca, quale titolare del trattamento, di rimuovere dai risultati di ricerca legati al suo nominativo, nonché le URL che rinviano alle fonti che riportano informazioni ritenute per lui pregiudizievoli.

Qualora ci sia una mancata risposta o, peggio ancora, una risposta negativa, il successivo rimedio è il reclamo al Garante Privacy ai sensi dell’art. 77 del GDPR o, in alternativa, il ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria.

Se si sceglie la via del reclamo al Garante, contro la decisione è poi possibile ricorrere all’autorità giudiziaria.

Sono ormai numerose le decisioni nelle quali il Garante Privacy ha preso posizione sul rifiuto da parte dei motori di ricerca di rimuovere dai risultati di ricerca gli URL che rinviano ad articoli online su vicende giudiziarie o di cronaca, del passato più o meno remote.

Dai suoi provvedimenti il Garante afferma costantemente che, per valutare se il diritto all’oblio sia stato esercitato in modo legittimo o meno, occorre considerare anzitutto quello che è il tempo trascorso dalla pubblicazione della notizia e/o dei dati, ma anche gli altri criteri individuati dal Gruppo Articolo 29 nelle Linee Guida nella quale sono elencati una serie di criteri orientativi per le autorità garanti nazionali che vengono chiamate a gestire i reclami riguardanti richieste di deindicizzazione.

Fra questi criteri, che sono in tutto 13, vi sono requisiti riguardante il soggetto interessato, ossia se quest’ultimo sia o meno un personaggio pubblico, un minorenne, se svolga una professione specifica ecc. ma soprattutto se il collegamento del risultato di ricerca in questione riporti informazioni che recano pregiudizio o alla persona o alla sua sicurezza ecc…

Se per la tua attività hai necessità di conformarti a quanto prescritto dal GDPR, per farlo in modo adeguato ed evitare possibili sanzioni, contattaci subito.

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